Alle origini dello “Stato sviluppista” in Asia Orientale: questioni di metodo. Gramsci come strumento di lettura
Martedì 26 aprile 2016, Aula Magna – viale S. Ignazio, 78 ore 16:00, Cagliari
Relatore: Francesca Congiu, Università di Cagliari
La lettura data dei teorici dello Stato sviluppista del cosiddetto “miracolo economico asiatico” di prima, seconda, terza e quarta generazione ha segnato un punto di svolta epocale nella letteratura dominante relativa all’analisi dei processi di sviluppo e alla loro origine tradizionalmente collocata all’interno del binomio “democrazia liberale – economia liberista”. Il contributo dei teorici dello Stato sviluppista è stato, infatti, determinante nell’aver individuato nei processi di industrializzazione dei paesi dell’Asia Orientale, il ruolo fondamentale e interventista dello Stato (autoritario nella gran parte dei casi) smentendo le tesi neo-classiche. Secondo tali teorie la principale ragione alla base della ormai nota crescita economica asiatica è stata la formazione di stati forti, autonomi, indipendenti dalle forze sociali e dunque capaci di agire per il bene dello sviluppo economico nazionale. Si tratta, dunque, di un concetto di “Stato neutrale” che si contrappone alla intrinseca politicità del concetto di Stato integrale di matrice Gramsciana.
Le letture dei processi di industrializzazione in Asia Orientale fornite dai teorici dello Stato sviluppista si concentrano, infatti, sulle forme di efficiente coordinamento esistenti fra le elite burocratiche statali e le elite economiche nazionali e sulla capacità delle prime di imprimere la direzione della politica economica nazionale. Manca in queste analisi il ruolo giocato dalla subordinazione del lavoro in quei processi di industrializzazione export-oriented, manca il ruolo del contesto internazionale e delle sue trasformazioni, e soprattutto non si comprende quale tipo di relazione intercorresse tra lo stato interventista e la classe operaia in formazione. Questo comporta l’impossibilità di individuare, nella storia di questi paesi elaborata dai teorici dello Stato sviluppista, le differenti forme di resistenza del lavoro alle pratiche di subordinazione. Non si spiegano, inoltre, le ragioni che hanno determinato successivamente il passaggio, della gran parte di quei paesi, dalle condizioni di Stato sviluppista alle condizioni di Stato neoliberista.
Al fine di ricostruire le origini storiche dello Stato sviluppista in Asia Orientale e le sue funzioni, e riportare il lavoro al centro dell’analisi dei processi di sviluppo in quella regione, il concetto di Stato integrale, come pure il concetto di rivoluzione passiva, possono costituire un’utile base metodologica e, in un certo qual senso, una base critica attraverso la quale leggere le teorie dello Stato sviluppista. La differenza sostanziale tra le due visioni poggia su una concezione opposta della natura della relazione stato-società. Per la prima, lo stato e la società costituiscono insieme ciò che Gramsci definisce, appunto, Stato integrale, prodotto della transizione politica e sociale alla modernità e riflesso, dunque, delle relazioni di classe. La seconda, in linea col pensiero liberale, concepisce lo stato e la società come due entità separate, la cui natura si rileva a seconda del grado di autonomia dell’una nei confronti dell’altra.
